Le neviere | |||||||||||||
Le neviere, in un'epoca in cui non esistevano ancora macchine per la refrigerazione, rappresentavano l'unica possibilità di ottenere, nei periodi caldi dell'anno, bevande e cibi freddi.
Da dove veniva, allora, il freddo? La neve caduta veniva ammassata fino a diventare ghiaccio e conservata, appunto, nelle neviere al riparo dall'afa estiva. Queste costruzioni, solitamente sviluppate su due piani, erano formate da una cisterna scavata nella roccia per una profondità dai 5 ai 6 metri; avevano pianta rettangolare o quadrata e dimensioni sino a 10 metri di lato; al di sopra della cisterna vi era un vano adibito a pagliaio e alla lavorazione del ghiaccio. Le neviere erano costruite con particolari accorgimenti atti a conservare la neve ghiacciata anche durante il periodo estivo ed a ritardarne il più possibile la liquefazione. Ad esempio, il loro l'ingresso era, generalmente, rivolto verso il Nord, per ridurre l'azione dell'irraggiamento solare; in alcuni casi, si sfruttavano anche cavità naturali opportunamente adattate allo scopo. Le neviere, diffuse in tutta la Puglia, dal Gargano al Salento, erano particolarmente numerose nelle campagne di Altamura (Ba), Locorotondo (Ba) e Martina Franca (Ta). Esse hanno svolto la loro funzione sino ai primi anni del nostro secolo; l'ultima neviera a Martina Franca è stata in attività sino al 1899, cioè fino a quando si faceva ancora uso e commercio della neve raccolta d'inverno nei campi. Il declino dell'uso delle neviere nella nostra regione coincide con l'entrata in attività, a Lecce, del primo impianto pugliese per la produzione del ghiaccio artificiale. D'inverno, dopo un'abbondante precipitazione nevosa, gli operai si recavano alla neviera, che generalmente si trovava nelle immediate vicinanze dei centri abitati, anche se alcune venivano costruite anche all'interno degli stessi. In genere, prima d'iniziare a riempire di neve il vano ipogeo, si stendeva sul fondo uno strato di fasci di sarmenti per facilitare il distacco dello strato di ghiaccio dal fondo e anche per consentire il deflusso delle acque di fusione per infiltrazione attraverso le fratture della roccia calcarea. Grandi palle di neve venivano rotolate sui campi circostanti e spinte all'interno della neviera. Successivamente la neve veniva compressa con pale affinché si compattasse uniformemente e assumesse, con l'ausilio delle basse temperature notturne e delle parziali rifusioni diurne, le caratteristiche del ghiaccio. Si formavano strati di ghiaccio alti da 20 a 30 centimetri, alternati con strati di paglia, di circa 10 centimetri, per separare i livelli della neve, favorendo così il successivo distacco dei blocchi di ghiaccio. Si poneva, inoltre, gran cura nell'eliminare i corpi estranei, che oltre a provocare il deprezzamento della qualità, acceleravano i tempi di liquefazione. Venivano così formati molti strati, fino all'altezza massima di circa 5 metri, e si ricopriva il tutto con uno spesso strato di paglia per assicurare un migliore isolamento termico; infine la neviera veniva chiusa e sigillata, di solito murandone l'ingresso. L'operazione di raccolta della neve poteva anche ripetersi più volte in base al numero e alla quantità delle precipitazioni nevose della zona. Nei mesi estivi, il ghiaccio così formato veniva tagliato a seconda delle dimensioni volute con accette e seghe, pulito dai corpi estranei, la cosiddetta rasatura del ghiaccio, caricato sui carri e trasportato velocemente nei centri abitati, dove veniva conservato in depositi freschi in attesa di essere ridotto in pezzi più piccoli, da vendere al dettaglio. La neviera era, quindi, una struttura semplice ma funzionale, indispensabile per assicurarsi l'utilizzo del ghiaccio nei caldissimi mesi estivi. Il ghiaccio, in estate, era considerato un bene prezioso; serviva, soprattutto, per rinfrescare e conservare le derrate alimentari, per la preparazione di granite e per alleviare le sofferenze dei malati. L'importanza attribuita nel passato a neve e neviere è testimoniata, oggi, dalla presenza di numerose chiesette consacrate alla Madonna della Neve; nell'area tarantina e nella penisola salentina, infatti, era molto diffusa l'usanza di invocare la protezione divina sulle neviere. Queste strutture non cessano di riservarci sorprese; nel barese vi sono numerose segnalazioni di neviere tutte ancora da studiare a Putignano, Alberobello, Castellana-Grotte, Toritto. La nostra moderna società, abituata all'uso dei pratici frigoriferi, ha completamente dimenticato la preziosa e umile opera di queste neviere, veri e propri monumenti della nostra ingegnosa civiltà contadina. Esse sono, oggi, completamente abbandonate a se stesse; alcune volte sono state trasformate in cisterne per l'acqua piovana o in depositi. Il loro studio e la loro salvaguardia sono operazioni necessarie per poter tramandare alle future generazioni questo prezioso esempio di archeologia industriale. |
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Crediti
© Gruppo Puglia Grotte |